martedì 1 luglio 2008

* La pesca dei datteri

Convegno:
LA PESCA DEI DATTERI: DANNI AMBIENTALI
Organizzato dall'associazione Movimento per Formia per Mercoledì 2 Luglio ore 18:30 presso il Palazzo della Cultura (ex Caserma dei Carabinieri), via Lavanga FORMIA.

La salvaguardia e la tutela dell’ambiente marino hanno messo in evidenza i danni spesso quasi irreversibili arrecati negli ultimi decenni dall’intensa pesca di frodo; tra i più evidenti va senz’altro annoverato quello causato alle scogliere per l’indiscriminata raccolta del dattero di mare.
Data la gravità degli effetti provocati dalla sua raccolta sulla roccia, sulle comunità bentoniche e quindi sull’ecosistema marino, la legge italiana ha vietato la pesca e la commercializzazione del dattero di mare fin dal 1988 (Decreto n. 401, 20 agosto 1988, Ministero della Marina Mercantile). Oltre alla dura repressione del reato, l’unico strumento per fronteggiare questa situazione è quello della sensibilizzazione e dell’informazione. Movimento per Formia ha preso a cuore lo stato dei fondali marini del Golfo, cercando di sensibilizzare i cittadini al danno che si arreca ogni qual volta si mangiano datteri.
Le stime scientifiche dicono che per un piatto di "linguine ai datteri", che contiene 15-20 individui, si distrugge una superficie di fondo marino pari a circa un metro quadrato con tutti gli organismi sessili in essa presenti; e perché la stessa superficie si ricostituisca integralmente occorrono almeno 20 anni. Un dattero, infatti, raggiunge 5 centimetri di lunghezza dopo circa 20 anni: una crescita così lenta costringe i datterai a cambiare luogo di raccolta continuamente, distruggendo ettari di fondale, riducendo nel contempo la possibilità di produzione di nuove larve.

I datteri di mare
(Lithophaga lithophaga) è un bivalve evolutivamente affine ai comuni mitili; esso vive lungo le coste del Mediterraneo all’interno di gallerie scavate nella roccia calcarea grazie ad una secrezione mucosa erosiva, e raggiunge le massime densità di popolazione (fino a 300 ind/m2) entro i primi 5 metri di profondità pur essendo presente fino a 20-25 metri. La sua crescita è estremamente lenta e si è stimato che per raggiungere la lunghezza di 5 cm, ad un dattero siano necessari da 15 ai 35 anni. Il problema della pesca del dattero, non consiste solo nel rischio di estinzione delle popolazioni, ma anche nel danno arrecato al patrimonio naturalistico delle coste calcaree. Il suo prelievo infatti, proprio a causa della sua particolare biologia, comporta la distruzione degli scogli dove questi animali scelgono di vivere. L'impatto sulla popolazione non è comunque trascurabile se si considera che sono necessari circa cinque anni perchè possano insediarsi nuovi individui, circa venti perchè gli stessi possano raggiungere una taglia adeguata alla commercializzazione, e ben ottanta per avere esemplari di grosse dimensioni, (circa otto centimetri). Una pesca estremamente dannosa, un bracconaggio, che seppur in modo molto ridotto grazie ai controlli e alle pesanti norme legislative, continua ad essere condotto. La campagna informativa, e le norme sono partite nel 1988, condotti dalle Riserve Marine, Legambiente, Wwf Italia, e altre associazioni ambientaliste, e supportati da interventi legislativi e decreti ministeriali. Oggi la campagna informativa mai interrotta, vuole essere amplificata, accresciuta e accompagnata da una serie di attività di ripopolamento delle zone danneggiate.

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