martedì 1 luglio 2008

* Riflessione sui "DICO"

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
"Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi”

Il pensiero di un cristiano per iniziare una riflessione
a più voci nella nostra Diocesi

In questa nostra società, molti si accontentano di essere cristiani di nome con un disimpegno pressoché totale sul piano personale, relazionale e sociale, salvo poi essere attratti a livello locale e mediatico da grandi eventi/raduni che nulla poi incidono sulla testimonianza evangelica.
Noto sovente in noi cristiani l’assenza del messaggio di Cristo sull’amore: “Amatevi l'un l'altro come io vi ho amato”.
Noi cristiani siamo chiamati a vivere la testimonianza a Gesù attraverso una prassi d'amore che si realizza nel condividere la nostra vita con chi è nel bisogno, con i sofferenti, con i poveri, con gli emarginati dalla cultura dominante e con gli esclusi dal tessuto sociale solo perché diversi.
Come Gesù dobbiamo stare con loro.
Da sempre la Chiesa (popolo di Dio) è stata pluralista e nella sua storia il dibattito è stato spesso accalorato a cominciare da Pietro e Paolo con visioni diverse riguardo alla circoncisione o meno dei pagani convertiti . Ciò viene riportato sia negli Atti degli Apostoli che nella Lettera ai Galati.
Il pluralismo, il dibattito e il dissenso sono nel DNA della Chiesa.
Anche oggi nella chiesa il diritto e il dovere di esternare le proprie opinioni in un sereno dibattito sono assicurati sia dalla Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II° “Gaudium et Spes”, che dal Codice di Diritto Canonico (can. 212, par. 3) i quali espressamente prevedono “in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi (i fedeli) hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone”.
Il vivere la fede in Gesù, nell’attenzione continua ai segni dei tempi che cambiano ed alla storia che evolve, mi è di stimolo a fare sempre nuove scelte che esigono poi di essere comunicate, confrontate e, se possibile, condivise all’interno della chiesa in dialogo con la società.
E’ questo anche l’affettuoso invito che faccio alla nostra Chiesa diocesana che a volte appare chiusa al suo interno ed alla quale chiedo una concreta apertura all’ascolto, al dialogo, alla comprensione e all’accoglienza anche di quei cristiani che la pensano diversamente e che su alcune problematiche si sentono emarginati.
La mia professione di psicologo-psicoterapeuta mi porta ad incontrarmi continuamente con le persone che soffrono, che si sentono smarrite, sole, abbandonate: sento forte l’esigenza di accompagnarle nel tunnel della complessità della loro vita, di aiutarle a ritrovare il senso della loro esistenza e di aiutarle a vivere nella serenità e nella gioia.
Una domanda è presente continuamente nella mia vita: se Gesù, il Liberatore, è vivo in mezzo a noi, ci libera dalla schiavitù della legge e ci dona la vita nell’amore, come posso realizzare questa Sua presenza nella società d’oggi se non vivendo il ‘diverso’ con la misericordia accogliente di Cristo?
Ed allora io penso che si può essere per la fedeltà nel matrimonio, ma anche per il rispetto della legge civile sul divorzio (legge 898/70) che viene incontro alla disperazione e all’angoscia di tanti coniugi ormai già separati nel loro animo e nella loro vita; si può essere contro l’aborto, ma anche per il rispetto della legge 194/78 che deve aiutare a prevenire l’aborto soprattutto con l’educazione e a vivere la sessualità nella responsabilità; si può essere per la famiglia, ma anche per il rispetto della società civile che è chiamata a regolamentare la nuova realtà dei conviventi attraverso una proposta di Legge sui “diritti e i doveri delle persone stabilmente conviventi”.
In un mio precedente intervento in materia affermavo:
“A partire dai Documenti Pastorali del Concilio Vaticano II e vivendo in modo particolare e anche sofferto il tempo del post-concilio, continuo a sognare una Chiesa, che è già realtà in tante parti del mondo, come nell’America Latina, nell’Asia, ecc., che nella sua missione si sforzi di usare “il potere dei segni, anziché i segni del potere” (come diceva il compianto don Tonino Bello, già vescovo di Molfetta), una Chiesa fatta di vescovi e preti coraggiosi, di fedeli laici impegnati e liberi nel gridare il messaggio evangelico dell’ amore, nella povertà, senza privilegi e senza compromessi con il potere, una Chiesa che sappia riflettere sul mondo e sulla società, una Chiesa capace di ascoltare, senza mai giudicare, senza mai condannare, né escludere o emarginare nessuno, una Chiesa inclusiva, che non usa la pesante scure del giudizio su nessuno, “una chiesa degli esclusi e non dell’esclusione” (Mons. Jacques Gaillot, vescovo di Partenia), una Chiesa capace di accogliere e di amare tutti, proprio tutti, una Chiesa che, pur testimoniando e proponendo i propri valori, non si sogni nemmeno di imporli (Card. Martini in occasione dei suoi 80 anni) ad una società laica che deve essere invece ascoltata e compresa, una Chiesa che sappia rispettare una legislazione civile che determini la tutela dei diritti delle persone conviventi etero ed omosessuali, una Chiesa capace di fare una distinzione tra giudizio etico e le Leggi che devono regolare nella società civile la vita delle persone anche nelle loro relazioni, una Chiesa che non usi una morale fatta di divieti e di prescrizioni, una Chiesa che non si dimentichi mai che la morale – come il sabato (la norma) del Vangelo – è al servizio dell’uomo e non, viceversa, l’uomo al servizio della morale”.
Gesù ci chiama ad essere una comunità di fratelli e di sorelle impegnata a vivere l'alternativa, cioè impegnata a dimostrare al mondo con la propria vita che possono essere possibili altre modalità di organizzazione, altre modalità di relazione e che la logica dell’egoismo può essere superata con nuove forme di fraternità, di condivisione e di solidarietà.
Gesù chiede a noi cristiani di realizzare una comunità dove i legami di solidarietà, d’affetto e di rispetto facciano del gruppo umano una grande famiglia.
Gesù chiede a noi cristiani di realizzare una comunità dove i semplici, i piccoli, gli emarginati occupino un posto d'importanza e siano i gestori di un nuovo modo di organizzare le relazioni umane.
Come cristiano vivo con molta sofferenza e sconforto l’intransigenza di gran parte della gerarchia ecclesiastica italiana che pare abbia smarrito la bussola della “solidarietà evangelica” con le persone del nostro tempo nel rispetto profondo delle loro idee, delle loro libertà e delle loro diversità, facendosi compagni di esistenza “degli esclusi e degli emarginati e di quanti portano nella loro pelle le stigmate della condanna religiosa e sociale”.
La Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II° “Gaudium et Spes”, nel paragrafo 17, sostiene che “… l’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà…La vera libertà … è nell’uomo un segno altissimo dell’immagine divina … Perciò la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna”.
La Chiesa può e “deve farsi comprendere ascoltando innanzitutto la gente, le loro necessità, i loro problemi, le loro sofferenze, lasciando che rimbalzino nel cuore e poi risuonino in ciò che diciamo, così che le nostre parole non cadano come dall’alto, da una teoria, ma siano prese da quello che la gente sente e vive, la verità dell’esperienza, e portino la luce del Vangelo” (Card. C.M. Martini).
La democrazia si esprime nel libero confronto tra posizioni diverse, ed in Italia tante sono le persone, - cardinali, vescovi, teologi, personalità politiche, sociali, studiosi-storici, professori - cristianamente impegnate e pienamente inserite nella comunità ecclesiale e semplici cittadini, che si esprimono favorevolmente circa la regolamentazione dei “diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”, perché rispondono ai bisogni e alle necessità di persone concrete che hanno diritto di sentirsi amati e cercati nelle loro situazioni reali.
La sola istituzione di un registro comunale è poca cosa di fronte alla tanta sofferenza umana che incontro nell’esercizio della mia professione.
Ed è per questo che mi auguro che, come è accaduto in passato per grandi questioni che riguardano la società civile nel suo insieme (divorzio, concessioni emittenze TV, nucleare, legge 194, etcc…), anche oggi ci siano le condizioni perché non si perda la speranza che la sensibilità delle persone possa condurre, in un ragionevole tempo, a poter parlare serenamente di “diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi” senza che vi siano infondate paure, ingiustificate contrapposizioni, non reali sovrapposizioni con la famiglia vissuta gioiosamente sia in modo civile che in modo religioso.
Salvatore Gentile

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